Il 7% della popolazione mondiale soffre di ansia da attacco di panico.

Difficoltà respiratorie, aumento della frequenza cardiaca, dolori al petto, sudorazione e derealizzazione. È con questi sintomi che si manifesta il disturbo da attacchi di panico (DAP).

La persona che ne viene colpita ha paura di morire, di perdere il controllo e di impazzire, percepisce che qualcosa di irreparabile sta per accadere e prova una profonda angoscia che dura pochi minuti, al massimo una decina, che sembrano interminabili. Inizia così un percorso personale nel tunnel della paura di aver paura che porterà la persona che ne soffre a mettere le strategie di evitamento delle situazioni scatenanti l´attacco al centro della propria quotidianità.

L´OMS ha calcolato che il 7% della popolazione mondiale ne soffre, mentre uno studio coordinato dall´ISS ha dimostrato che in Italia tre milioni e mezzo di persone adulte hanno sofferto di un disturbo mentale negli ultimi 12 mesi e di costoro, quasi due milioni e mezzo hanno presentato un disturbo d´ansia dei quali quasi un milione di disturbo da attacchi di panico. Il DAP inoltre colpisce la fascia sociale più attiva, quella di età compresa tra i 20 e i 40 anni, le donne più degli uomini. «Le persone colpite da attacchi di panico – ci spiega la dottoressa in Psicologia Milena Micozzi – sono spesso delle persone molto strutturate a livello sociale e personale. Si tratta di persone che appaiono stabili, sicure di sé, forti, mature. Non è un caso che questo sia il disturbo della nostra epoca concepita per ottenere sempre la massima performance. Il massimo numero di informazioni e di amici che si moltiplicano con i blog e i social network, il massimo impegno nel lavoro e nel mantenimento della forma fisica, così come il massimo coinvolgimento nella sfera familiare e nell´educazione dei figli. È chiaro che in questa tendenza globale alla perfezione e al riconoscimento sociale a tutti i costi, il rischio è di spingersi troppo avanti».

Se allora intorno alla sua immagine positiva la persona crea una gabbia fatta di richiesta di consenso e di azioni per ottenerlo, l´attacco di panico arriva a ricordare le istanze più autentiche e l´incapacità di ognuno di aspirare alla perfezione. «L´importante è saper ascoltare quello che il crollo psicologico ci dice – osserva la dottoressa Micozzi – e ricorrere all´aiuto terapeutico necessario. In fondo esiste anche un aspetto positivo di questo disturbo ed è quello di tornare a prendere contatto con quelle parti più autentiche di noi stessi che nella corsa alla perfezione tendevamo a soffocare. In questo senso dal percorso terapeutico la persona potrà davvero uscire in pace con se stessa, disponendo allo stesso tempo di quegli strumenti che le permetteranno di dare di volta in volta ascolto alle proprie istanze».

Spesso però la tendenza della persona colpita dagli attacchi è quella di isolarsi perché se il primo attacco arriva in modo inaspettato e improvviso, per i successivi si stabilisce una predittività in base alla quale la persona colpita tenderà a evitare un certo percorso o un certo luogo e in alcuni casi tenderà a non voler uscire di casa. «Il pensiero che in molti casi si stabilisce nella mente della persona colpita – continua la dottoressa Micozzi – e che la porta a ritirarsi o a vivere con angoscia qualsiasi attività è quello di essere affetta da una malattia grave o di non riuscire a controllare i propri impulsi. L´attacco di panico può essere associato in questo caso ad agorafobia, ovvero all´ansia di avere un attacco in luoghi pubblici in cui si teme di non poter essere soccorsi. Si inizia così con l´evitare le piazze, i luoghi affollati, le strade larghe, i mezzi pubblici, ma anche quelli privati, si evita anche di prendere l´ascensore».

Dunque oltre all´agorafobia l´attacco di panico porterà con sé, a seconda dei casi, una serie di disturbi d´ansia come claustrofobia, la paura dei luoghi chiusi, fobia sociale, la paura delle situazioni sociali, oppure si cercherà di evitare delle situazioni che ricordano un trauma vissuto e sarà il caso del disturbo post-traumatico da stress, fino a rendere la persona dipendente e impossibilitata ad agire attivamente nella società. «Dopo il primo attacco, il secondo può arrivare subito o a distanza di mesi. Ma è comunque questo attacco a confermare che succederà di nuovo e sarà rinforzato dal successivo, mettendo in moto il comportamento evitante che, se continuo, metterà in moto a sua volta un´alterazione dell´umore in senso depressivo.

La persona prima attiva nel suo ambiente rinuncia ai propri interessi, al proprio lavoro, spesso anche gestire i rapporti familiari diventa difficile. In questo senso il disturbo da attacco di panico è estremamente invalidante». Uscire dal guscio diviene quindi il primo obiettivo del percorso di guarigione per la persona colpita da questo disturbo. La percentuale di riuscita nelle cure raggiunge il 90-95%, quasi la totalità. «La cosa più importante è cercare di agire tempestivamente, non aver paura di chiedere aiuto – conclude la dottoressa Micozzi – perché agendo nelle prime manifestazioni il processo di evitamento è meno diffuso. Lo psicoterapeuta farà una prima valutazione del caso, successivamente verrà formulata una diagnosi preliminare e proposto un percorso terapeutico personalizzato. Molto spesso però il disturbo da attacchi di panico viene diagnosticato dopo diversi anni perché una sintomatologia che richiama quella da infarto, porta a compiere un percorso di esami clinici che prolungano i tempi di intervento. La psicoterapia è un aiuto concreto perché l´ansia è un campanello d´allarme che ci sta ad indicare che qualcosa non va più come prima e che ora bisogna lavorare ed affrontare le situazioni esistenziali in modo diverso. L´importante è non aver paura di aver paura e di chiedere aiuto».

Fonte: http://www.dossiermedicina.it/notizie/?id=717