Il lungo blocco di marmo dal quale Michelangelo ha tratto la statua del Davide giaceva da anni, già scolpito in parte e abbandonato, con un grosso buco al centro, nel cortile dell’Opera del Duomo di Firenze.

Lo scultore precedente, dopo aver cominciato a scolpire il blocco, creando quel buco enorme, non era stato più in grado di continuare l’opera che si era prefissa, nè altri ci erano riusciti dopo di lui. Michelangelo si era presentato più volte alla Signoria per chiedere che gli fosse affidato quel blocco, ma aveva ricevuto parecchi rifiuti ed è stato merito della sua testardaggine se alla fine, quasi con scherno, gli fu consegnato.

Questo blocco, già tagliato e squadrato secondo scelte altrui e poi scheggiato e abbandonato in un cortile, da mani presuntuose ed inesperte, somiglia molto alla nostra vita, così come la riceviamo dalla storia e dai nostri genitori, con un grosso buco nell’ io e un altro, ancor più grosso, nel cuore.

Non siamo contenti di noi stessi nè di come siamo e di come ci hanno fatto essere, con mille condizionamenti e mille manipolazioni traumatizzanti.

A questo punto è facile decidere di giacere abbandonati come vittime nel cortile della storia, passando il tempo a colpevolizzare gli altri e a farli oggetto del nostro odio e della nostra vendetta.

Se si presenta, umilmente e insistentemente, l’artista interiore, il Sè personale, a bussare alla porta della Signoria, il nostro io orgoglioso e narcisistico, per ottenere il consenso di utilizzare creativamente e non sciupare egoisticamente la nostra vita, quale sarà la nostra risposta? Daremo il nostro consenso, o copriremo di scherno l’artista?

Qui, in questa scelta, si gioca il destino della nostra vita….

Nel frattempo il Davide di Michelangelo sta lì come un campo di energia possente e vitale per smascherare la nostra passività e le nostre menzogne. Per dimostrarci, senza tema di smentite, che si può rendere possibile l’impossibile…. Questa statua parla di Davide, un innocuo pastorello, che con un solo sasso di torrente ha steso a terra il gigante Golia e la prepotenza dei Filistei, nonostante lo scherno di Saul e degli Ebrei. Ecco qualcosa che era ritenuto impossibile e che fu resa possibile dalla genialità, dalla forza e dal coraggio di Davide.

E poi, questa statua parla di un’altra impossibilità resa possibile dalla genialità, dalla forza e dal coraggio di Michelangelo: l’impossibilità di trasformare un inutile blocco di marmo in un capolavoro d’arte che ha visto sfilare davanti a sè migliaia di visitatori da tutto il mondo e di tutte le epoche”.

Come il Davide (e ogni vera opera d’arte) crea un campo di energia che trasforma la cultura dell’uomo (dopo la pittura di Van Gogh, ad esempio, il nostro modo di vedere la realtà non è più lo stesso), in modo analogo, con tutti i limiti, i difetti, i problemi, i traumi, ecc., la nostra vita può essere trasformata in una piccola o grande opera d’arte che dia un contributo di vitalità, di creatività, di positività a noi stessi, agli altri, alla società, alla cultura e allo spirito del mondo.

Ciò non significa che dobbiamo proporci di diventare tutti dei Grandi Artisti, ma semplicemente che possiamo divenire artisti di noi stessi e della nostra vita, per quello che ognuno di noi autenticamente è e per quello che la vita stessa ci propone.

Per far questo, come la storia di Davide insegna (e come ci ripete Fellini in “Otto e mezzo”), non dobbiamo ripudiare le parti di noi stessi che non ci piacciono, i nostri limiti, i nostri difetti, i nostri errori, ma dobbiamo innanzitutto conoscerli , accettarli ed assumerceli, e poi trasformarli creativamente unificandoli alle nostre parti positive ed esprimendo il meglio di noi stessi.

Cioè nell’arte, come nella vita, ogni cosa deve essere affrontata e trascesa, e non negata o castrata, perchè tutto concorre alla creazione dell’opera d’arte, in cui l’unità e l’armonia sono il risultato della sintesi degli opposti e del giusto equilibrio tra le parti.

Realizzare un’opera d’arte, sia in campo propriamente artistico come nella vita, non si ottiene con un semplice atto di volontà nè tantomeno con l’improvvisazione, ma è frutto di un impegno costante, fatto anche di tentativi ed errori e soprattutto di un passaggio attraverso la “morte”, del proprio “io narcisistico”, dei propri equilibri precedenti, delle proprie ristrette convinzioni, per “rinascere” ad una dimensione più ampia di vita. Tutto ciò richiede metodo, disciplina, creatività e arte. Perchè, come ha detto Stanislavskj, “l’artista non è un bambino della domenica della vita…egli deve assolvere un duro compito ed è spesso la sua croce … quando un artista parla dell’arte, ne parla in termini semplici e comprensibili, non si mette a parlare di passione e di esaltazione … l’arte è un lavoro, un fatto di concentrazione … il talento senza lavoro è solo materia bruta.”

 

(Cfr. A.Mercurio., “La vie comme oeuvre d’art”, Parigi, 1988, pagg. 455-479)